9 domande 10 anni dopo

Tanti anni fa, in una contrada immersa nella nebbia dove non succedeva mai niente e tutto era grigio, una testa di riccioli rossi è sbucata dalla televisione. Aveva una voce potente e cantava una canzone di De Andrè. Avevo quattordici anni e sapevo poche cose, ma ho capito subito che era una voce pericolosa: poteva tutto. Poteva sbilanciarmi, poteva farmi credere di avere la stessa forza che aveva lei. Era un pensiero segreto, di cui un po’ mi vergognavo, perchè non c’era niente che potesse legittimarlo.

Molti anni dopo sono uscita dalla nebbia e l’ho cercata. Ho visto concerti, ascoltato dischi, partecipato a presentazioni, ogni parola mi diceva qualcosa, mi parlava con una strana familiarità. Poi ho trovato un libro in cui lei, Fiorella Mannoia, si racconta in prima persona. Il libro si chiama “Biografia di una voce”, ed è del 2005. Ogni tanto lo rileggo e continua a parlarmi, a farmi domande, a farmi pensare. Sono passati dieci anni e il mondo è andato avanti; Fiorella crede ancora alle cose che ha scritto? L’ho chiesto a lei, in nove domande. E dal momento che quella voce, oltre che pericolosa, è anche gentile e disponibile, mi ha risposto.

I testi virgolettati sono citazioni del libro.

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1 “In sintesi, oggi dovremmo chiederci quanta libertà ci sia davvero rimasta e quanto invece dobbiamo considerarci assoggettati (magari in modo inconsapevole) a questo nuovo tipo di dittatura strisciante che ha come leader unico e indiscusso la televisione, che non si impone con la forza, lasciandoti perfino l’illusione del libero arbitrio.”
Siamo ancora nella stessa situazione di apparente libertà? Il leader della dittatura è ancora la televisione?

Siamo ancora nella stessa situazione. E’ la dittatura dell’informazione, l’informazione non è mai libera, ci sono sempre degli interessi che la dirigono: l’editore, il pensiero politico. Pensa solo cosa è successo anni fa con Saddam Hussein. Tutte le televisioni occidentali hanno dato la notizia che Hussein aveva armi di distruzione di massa. Tutte. Era quello che volevano farci credere. Non era vero, ma è servito a motivare una guerra.

L’informazione nel web non ti sembra un altro caso di apparente libertà? In rete trovi di tutto, ci sono esperti pronti a certificare qualsiasi cosa. Anche in rete non puoi mai essere sicura che qualcosa sia vera.

In rete trovi di tutto, è vero, ma c’è la possibilità di verificare le notizie, di confrontarle con i libri degli autori di cui ti fidi (vedi Galeano) e con gli articoli dei giornalisti che reputi seri.

2 “Le parole che canto mi rappresentano, le storie delle canzoni che canto mi somigliano.”
Tra le canzoni che hai cantato in questi ultimi anni scritte da altri, quale ti rappresenta particolarmente? E tra quelle che hai scritto tu?

Le canzoni che canto mi rappresentano tutte, sennò non le canterei. Tra le mie, la prima che ho scritto è “Se solo mi guardassi”. Sono molto affezionata anche a “In viaggio”.

L’impressione che ho io è che “Se solo mi guardassi” sia una canzone ricca, piena di immagini e storie, più compiuta; il pubblico si è affezionato subito a “In viaggio” perchè è più facile l’immedesimazione.

“Se solo mi guardassi” è anche ricca di metafore, che forse non tutti colgono. Le “conchiglie padrone del destino” sono quelle che si usavano per i riti di divinazione; “le regine di vento e di tempesta” sono le divinità delle antiche religioni africane, che in Africa non esistono praticamente più perchè sono state spodestate dall’avvento del cristianesimo e dell’islam. Per fortuna queste religioni sopravvivono ad Haiti, a New Orleans, in Brasile.

3 Citando Gramsci, qualche anno fa hai parlato di “Ottimismo della volontà”. Ci credi ancora? Vuoi essere ottimista? Insisti?

Devo. Anche per il mio ruolo di personaggio pubblico.

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4 “La mattina, quando mi alzo, dopo aver aperto le finestre, la prima cosa che faccio è scegliere la musica da sentire.” Lo fai ancora? Cosa ascolti?

Non sempre, ma lo faccio. Se è appena uscito un disco di qualche cantante che mi interessa lo ascolto a ripetizione.

Tutto l’album o anche solo un brano? Sei un’ossessiva compulsiva capace di rimettere lo stesso pezzo decine di volte di seguito?

Sono capace di sentire un brano ancora, e ancora, e ancora, e ancora…

5 “Artisticamente non ho mai avuto la certezza di essere brava, ho sempre avuto (e ho ancora) la sgradevole sensazione di non essere mai all’altezza, di essere inadeguata.”

Dopo cinque targhe Tenco, cinque Wind Music Award, un premio Amnesty, un premio Caruso, una quantità di dischi d’oro e platino che ci potresti costruire una pila per salire a cambiare le lampadine e interi teatri in lacrime, ti sei un po’ rassicurata o hai ancora questa sensazione?

Mi sono un po’ rassicurata, ma non del tutto. So di avere dei limiti, non interpretativi ma vocali. Non ho le possibilità vocali che hanno alcune mie colleghe, ho un’estensione limitata. A volte questo mi provoca un po’ di frustrazione.

6 “Bisognerebbe far capire a questi ragazzi che la felicità non è un diritto ma una conquista che costa impegno e a volte sacrificio, e che però niente è paragonabile alla felicità che dà la soddisfazione di aver conquistato una cosa seppur piccola con le proprie forze, senza l’aiuto di mamma e papà.” E’ la stessa cosa che diresti adesso ai giovani?

Sì, adesso più che mai.

7 In chiusura di una discussione sull’antico “Fiorum” del tuo sito, scrivevi: “Siete troppo belli, sono fiera di questo forum.” Oggi hai due profili facebook e una pagina pubblica, oltre a un account twitter. Cosa pensi delle persone che ti seguono e ti commentano?

Sulla pagina pubblica di facebook c’è di tutto, a volte arrivano persone che non sono d’accordo con quello che scrivo e mi insultano. Ma le persone che mi seguono, che vengono ai miei concerti mi assomigliano. Crediamo alle stesse cose, condividiamo gli stessi valori. Tutti cerchiamo i nostri simili.

8 “Perdere la memoria sarebbe come morire, noi siamo il risultato di ciò che siamo stati: difendere la memoria, in questo caso la memoria storica, dovrebbe essere un dovere di tutti.”
Secondo te qual è adesso la memoria più in pericolo, quella che abbiamo quasi perso?

La memoria di quello che siamo stati. Siamo stati un popolo di emigranti, per molti anni, abbiamo invaso il mondo, abbiamo esportato tante cose, compresa la delinquenza. Vorrei che lo ricordassero le persone che adesso si scagliano contro i nostri fratelli immigrati. Si è persa la memoria che siamo sempre stato un paese accogliente.

9 “Sono fermamente convinta che l’arma più micidiale che l’umanità possegga sia la gentilezza.”
Lo pensi ancora? Cambieremo il mondo con la gentilezza?

Sì. Lo penso, perchè la gentilezza mette sempre in moto qualcosa.

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Ringrazio Fiorella Mannoia per la disponibilità e Luca Brunetti per l’utilizzo delle fotografie.

A te – una storia

Non so scrivere recensioni. So rintracciare storie, a volte, e provo a raccontarle. E questa è una storia, divisa in capitoli, che attraversa una vita. La mia.

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Capitolo uno: un registratore, cassette, un uomo con gli occhiali tondi e il cappellino. Lo ascolta mio padre, è di mio padre; dice che quel signore con il cappellino è nato un mese esatto prima di lui, che è del 4/4/1943. Io ascolto in silenzio e imparo le parole a memoria.

Capitolo due: al mare con i nonni. Tanta gente, troppe parole. Ho due cose per difendermi: i miei libri e il mio primo walkman, con una cassetta che cigola e canta “Itaca, Itaca, Itaca, la mia casa ce l’ho so là…” La ascolto tutte le sere prima di addormentarmi e riavvolgo la cassetta intorno a una biro per risparmiare le batterie.

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Capitolo tre: università. Guardo il mare di Genova e consumo Le rondini e Apriti cuore. Il cuore si apre.

Capitolo quattro: mi trasferisco a Bologna. Do subito ragione a Lucio: nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino. Lui diventa una presenza, è facile incontrarlo al mercatino di Piazza Santo Stefano o in via D’Azeglio. Non gli dico mai niente. Solo ciao.

Capitolo cinque: Lucio muore improvvisamente tre giorni prima del suo compleanno. Mi ritrovo in coda con migliaia di persone davanti a Palazzo d’Accursio per salutarlo. Dagli altoparlanti arrivano le sue canzoni. Mi accorgo che le so tutte, anche quelle che ho sentito di meno. La gente intorno a me piange, ride, canta, racconta cosa faceva quando è uscita quella canzone, ogni canzone.

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Capitolo sei: 4 marzo 2013, grande concerto per Lucio in Piazza Maggiore. La città ci mette quattro giorni a prepararsi, come per una serata di gala. Non c’è negozio del centro che non abbia un ricordo di Lucio in vetrina: una foto, la copertina di un disco, un cartello. Molti le lasciano anche a concerto finito.

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Capitolo sette: settembre 2013. Fiorella Mannoia incide “A te”, album tributo a Lucio Dalla.

Non sono mai stata così dentro a un disco. Non ho mai toccato le parole delle canzoni come se fossero stoffa. Non ho mai sentito le emozioni dei musicisti e di una cantante stringersi intorno a me, diventare qualcosa che ho indossato e che non mi toglierò più.

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foto di Simone Cecchetti

Le ho sentite bene, le canzoni di Lucio. Ogni canzone, un film. Da ogni immagine, anche la più piccola e insignificante, una storia. Non c’è niente che non contenga una storia: la vita di un carcerato, di un pescatore, una serata, uno sguardo, una città. Forse è anche per questo che ho iniziato a scrivere: anch’io vedevo storie ovunque. So che le parole non sono tutto: basta il cambiamento di tono ad alterare una storia, un ritmo diverso a cambiarla, una pausa a spostare l’attenzione di chi legge o ascolta.

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foto di Simone Cecchetti

In una sala d’incisione caldissima, che diventerà in bianco e nero, ogni attacco di orchestra è un film diverso. E’ l’atmosfera a cambiare, dal primo respiro di un violino.

E poi c’è lei, che sembra uscita da un film. Racconta ogni storia come se fosse la sua. Porta le persone su una spiaggia, su una nave, in periferia. Nessuno resta a casa, la seguiamo tutti: gli orchestrali, i musicisti, noi che siamo lì a guardare e sentire e non abbiamo abbastanza occhi e orecchie, non riusciamo a comprendere tutto se non con l’emozione.

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foto di Simone Cecchetti

Per me è un viaggio in terre conosciute con una guida che spinge le porte chiuse e apre tutti i cassetti. A ogni canzone mi mostra qualcosa che mi era sfuggito. A ogni canzone so che c’è ancora un’altra storia da scoprire. Per questo vorrei che durasse giorni e giorni, seduta per terra a fissare la sua schiena da sirena, circondata da violini e violoncelli, appesa ai gesti del direttore d’orchestra.

Ogni volta che la porta si chiude teniamo il respiro. Ogni volta che la musica ricomincia e che la sua voce ci entra dentro fa un po’ male, perchè so che entro quattro minuti – che possono essere quattro secondi e quattro giorni – finirà. E voglio che ricominci, e che ricominci ancora.

E ricomincia, infatti, e ricomincia ancora ogni volta che riascolto le canzoni nel mio ipod. Sono microstorie che si aprono un po’ alla volta.

Ah… felicità, su quale treno della notte viaggerai

Lo so che passerai, ma come sempre in fretta non ti fermi mai.

Fiorella e Ron A te

foto di Simone Cecchetti

4 marzo: quel che resta di un concerto

Ultimo post sul 4 marzo. Poi la smetto, lo giuro.

attenti al lupo - andrea modenese

foto di Andrea Modenese

Piazza Maggiore è vuota, ora, sotto la pioggia. Ci sono voluti quattro giorni a  prepararla e due a svuotarla. Il tempo ha retto fino alla notte del concerto, poi le nuvole hanno avuto il permesso di aggredire Bologna.

Quattro giorni sciolti in una notte. Cosa resta di un concerto?

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Migliaia di bottiglie vuote di birra, di vino, di acqua e coca cola abbandonate. Carta appallottolata sufficiente impacchettare il palco da stadio. Uomini e donne che galleggiano nel buio in giubbotti fluorescenti. Un ubriaco che tira bottiglie contro un muro.

Stanchezza nelle gambe. Un pass stampa. Un ricordo dolcissimo del pomeriggio. Due carte dei tarocchi trovate per terra mentre andavo alle prove. Tanto freddo. Frammenti di storie raccolte dalle transenne. Bolli di luce azzurri e gialli. Un palloncino rosa che vola.

Giganti che cantano sui palazzi e sulla torre dell’orologio. Le foto degli amici, molto meglio delle mie.

Giuliano e Fiorella – foto di Alfredo Leo

Renato Zero - Luca Brunetti

Renato Zero – foto di Luca Brunetti

Stefano Di Battista - Alfredo Leo

Stefano Di Battista – foto di Alfredo Leo

Una canzone struggente. Luci e ombre. Le gomitate dei fotografi. Il gobbo a prova di cieco proprio di fianco a me.

Fiorella Mannoia - Luca Brunetti

Fiorella – foto di Luca Brunetti

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L’intenzione di riascoltarle tutte, le canzoni di Lucio, anzi, di studiarle, di fare più attenzione, di rileggere i testi, di strizzare la memoria, di ritagliare i pezzetti in cui lui c’era e di farne un collage.

Lucio e il Nettuno - Andrea Modenese

foto di Andrea Modenese

Qualche polemica, anche. Sull’organizzazione del concerto, la serata a favore di telecamera, la quantità di gente che non poteva fisicamente entrare in Piazza Maggiore. Ma si sapeva. Era prevedibile. Questo concerto non avrebbe avuto lo stesso senso in un altro luogo. E’ stata una festa, ma anche un pellegrinaggio, un atto di devozione laica.

Esistono forse pellegrinaggi comodi?

4 marzo 2013: il concerto

In genere ai concerti di piazza vado con un certo anticipo. Tanto anticipo che spesso siamo in tre o quattro in una piazza deserta, sotto il sole spaccapietre d’estate e nel gelo d’inverno. Presidiamo il parterre, ci appoggiamo con nonchalance alle transenne, guardiamo il palco vuoto e parliamo di chi viene, di chi non viene, di chi forse arriverà. Ogni tanto si avvicina un vecchietto a chiedere: “Signorina, cosa succede qui?”, indicando il palco. “C’è un concerto.” “Adesso?” “No, alle nove.” E magari sono le tre. Il vecchietto ci guarda con gli occhi vuoti, si trattiene dal picchiettare un indice sulla tempia, e se ne va stringendosi nelle spalle.

Ieri a Bologna non era questo il caso. C’era gente a presidiare le transenne esterne sino dalle otto del mattino. Accampamenti galleggianti sulla pietra, con il picnic nello zaino e la chitarra pronta. Alle cinque e mezza hanno aperto il recinto e in dieci secondi i giochi erano fatti. Questa volta io ero al di là della transenna, a chiedere ai ragazzi della prima fila da dove venite e per chi siete qui. (Lo so che non è mai un perchè, ma sempre un per chi). Venivano da Lecce, Brescia, Spezia, Bari, Roma, Genova, qualcuno anche da Bologna. Erano lì per Lucio, certo, ma anche per i Negramaro, Renato Zero, Mengoni, i Negramaro, Morandi, i Negramaro, i Negramaro. Stoici, e impermeabili alle provocazioni (“Sentito che bella stecca ha preso Giuliano ieri, in prova con la Mannoia?” “Sì, ma alle prove delle undici ha cantato come un angelo”).

La folla inizia a spingere, la volontà a vacillare. Ragazzi (e non) in attesa da otto ore decidono di mollare e si fanno estrarre dalla sicurezza, che li tira al di sopra delle transenne nel recinto della stampa e li fa uscire lateralmente.

Le luci si accendono, Piazza Grande di riempie di bolli colorati. Vola un palloncino rosa. Il recinto stampa si riempie di guest, la folla protesta. Fra poco non importerà più a nessuno. Quando appare Lucio nel primo rvm, la piazza esplode.

E’ una questione di appartenenza. “Mio non è qualcosa che mi appartiene. Mio è ciò a cui io appartengo”, diceva Kiekegaard. E ieri in Piazza Grande c’era una tale ragnatela di appartenenze da catturare chiunque. Innanzitutto c’era Bologna, la città di Lucio, amata e amante. E Piazza Grande, quella della sua canzone e della gente. C’erano musicisti e cantanti che hanno lavorato con lui per anni, sul palco. Amici, colleghi, autori. Suoi, per elezione.

C’era l’appartenenza delle sue canzoni al pubblico. Ognuno ha il suo Lucio. Il mio è quello di Cara e Quale allegria. De L’anno che verrà e Itaca. Di Sulla rotta di Cristoforo Colombo e Com’è profondo il mare. Di Le rondini e Chissà se lo sai e Piazza Grande. E’ impossibile che non si sentisse propria almeno una o due canzoni, ieri sera. Impossibile che non ce ne sia una che ha segnato la nostra vita.

E poi c’erano gli artisti, sul palco, e il loro pubblico, e il gioco si moltiplicava. Il Nostro Artista che canta una canzone lontana di Lucio, e ce la spinge direttamente nel cuore.

Oppure un cantante che abbiamo sempre ascoltato poco che ci offre una canzone che abbiamo amato molto, e scopriamo la sua voce. E in pochi, fortunati casi, la voce che ci può dire ogni cosa che canta una delle nostre canzoni preferite.

Così ci si commuove.

Così navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato. (F.S.F.)

Buon compleanno, Lucio!

Ma che bella mattina,

il cielo è sereno

(Istruzioni per la lettura di questo post: cliccare qui e lasciare andare la musica mentre si legge)Intorno a Piazza Maggiore c’è profumo di pane. Nei bar la gente si siede al sole e chiude gli occhi. Il palco dorme, ma degli omini con gli elmetti continuano a scendere e salire. Non hanno ancora tolto le transenne a settanta metri dal palco, ma c’è già pubblico che aspetta.Il Nettuno è cintato. Nessuno potrà salire sulle sue spalle per vedere meglio il palco, né fare il bagno nella fontana.040320131410Un ragazzo mangia un’arancia. Impiegati del comune e tecnici del concerto si squadrano nel cortile di Palazzo d’Accursio. C’è un cane biondo che si rotola sui gradini di San Petronio. Aroma di caffè dai bar.Via d’Azeglio piena di gente che passa veloce. Negozi con la porta aperta. Qualcuno fischietta. Qualcuno guarda le vetrine. Qualcuno guarda in alto, ma oggi le finestre sono chiuse.E’ una strana cosa, la memoria, Lucio.Apre porte dimenticate e restituisce persone.Raccatta oggetti e riporta spiagge.

Alza il volume e scalda le mani.Lucio, Bologna è pronta.

Tanti auguri.

Quasi 4 marzo

E la notte cominciava a gelare la mia pelle
la notte madre che cercava di contare le sue stelle
io lì sotto ero uno sputo e ho detto olé sono perduto…

Oggi non c’è angolo di Bologna che non canti Lucio.

Canta il pubblico ai lati dei palco, sui gradini di San Petronio. Cantano nei bar, uscendo dai ristoranti. Cantano i freni delle macchine. Canta Mengoni mentre firma autografi nel cortile di Palazzo d’Accursio, Angelo, se io fossi un angelo, con lo sguardo biblico li fisserei…

Cantano i fan in attesa, ululando quando compaiono i loro idoli: Carboni, Bersani, Zero, Morandi. Canticchiano anche i security men, solo con un angolo della bocca per non farsi sentire: li ho visti io. Ne ho visto persino uno ridere.

Cantano spensieratamente anche uomini e donne della produzione, svelando i segreti di domani: Zucchero non canterà sul palco ma davanti a San Petronio, con un coro Gospel. Dedicheranno a Lucio l’Ave Maria. Cantano commossi Fiorella Mannoia e Giuliano Sangiorgi. Fiorella in assolo con “Cara”, che ha viaggiato con lei per tutto il tour 2012, e in duetto con Giuliano “Anna e Marco”, come a Campovolo.

Ora, capisco che è una questione personale. A me basta il timbro della voce di Fiorella, mi rassicura e mi fa sentire in un luogo amico anche se in piazza soffia la bora e ho le mani trafitte da spilli di ghiaccio. Eppure lo vedo anche negli occhi degli altri: con “Cara” succede qualcosa. Gli sguardi si addolciscono, i commenti calano, l’attenzione aumenta. Le mani si stringono alle transenne, molti nasi gocciolano all’unisono, tante mani si tendono verso il palco, come i bambini davanti alla televisione.

Domani è già qui.

Buon compleanno, Lucio!

Dalla vostra inviata in Piazza Grande

Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto
gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino

4 marzo Lucio

Gente che si accalca alle transenne anche se il palco è deserto. Gente che fotografa, che parla, che mangia, che beve caffè e siede sui gradini sotto il sole giaguaro. Gente che aspetta non sa bene cosa. Gente che chiede: ma è stasera? (Cosa c’è scritto lì? 4 marzo. E dunque?). Gente che mai ti aspetteresti ad un concerto.

Gente che chiede se rimangono tutte quelle transenne anche lunedì (io, ad esempio). Gente che risponde che no, resta solo la prima transenna a una decina di metri dal palco.

Gente che non si fa una ragione dei camion Rai accatastati in Piazza Nettuno. Gente con amplificatori che canta le sue canzoni, già che in questi giorni Bologna è sotto l’occhio angelico di Lucio.

Gente che cammina per via d’Azeglio con il naso in aria, perchè tutte le finestre della casa di Lucio sono spalancate, e di lì esce “Anna e Marco”. Gente che si chiede come mai la voce sembra proprio quella di Lucio, ma l’arrangiamento non è di quelli registrati nei dischi. Gente che domanda se è Fresu, quello che gioca con le note finali della canzone. Gente che applaude quando è finita. Gente che guarda gli affreschi sui soffitti. Gente eccitata, gente bambina che salta per vedere meglio.

Gente che racconta le prove di ieri sera. Gente che dice che Mario Biondi canterà “Futura” e Paolo Rossi “Milano”. Gente che afferma che ieri sera provava anche un ragazzo, ma non lo hanno riconosciuto. Gente che faceva Ooooh tutte le volte che il basco e gli occhiali di Lucio venivano proiettati su un palazzo diverso. Gente che ballava. Gente che cantava.

Gente di Lucio.

2 marzo: aspettando Lucio

4 marzo Lucio

In Piazza Maggiore sta crescendo un palco che ogni ora si mangia dieci metri quadri. In Piazza Nettuno sono accampati cinque camion della Rai. A Bologna sono arrivati 74 addetti Rai per montare lo spettacolo e gestire la diretta.

Oggi, la prima grande notizia certa: ad aprire la serata non sarà Gianni Morandi, come abbiamo sentito dire. Sarà Mike Bongiorno, che presenterà direttamente Lucio. Così.

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E arriverà Lucio in Piazza Grande e a coprire tutti con la sua voce. Poi arriverà Morandi a duettare con lui. Roba da angeli, insomma.

Poche altre sicurezze. Renato Zero e Gianni Morandi in “L’anno che verrà”. Bersani (Samuele, non lo smacchiatore di giaguari), Ron e Luca Carboni in “Cosa sarà”. Marco Alemanno che leggerà dei versi di Roberto Roversi. Pare che ci sarà una sorpresa da parte di Zucchero, su cui gli organizzatori non si esprimono. Lucio ci sarà e duetterà con tutti.

Si inizia a provare in piazza stasera e domani, ma saranno solo frammenti per non svelare la sorpresa della serata e per non ritrovarsi su YouTube mezzo concerto il giorno prima.

Alla domanda “Quanta gente ci sarà?” nessuno ha saputo rispondere. Prudenza. Bibi Ballandi ha sentenziato: “Volare bassi per schivare i sassi”. Di certo la Piazza è già piena di attrezzature adesso, quindi ci vorrà poco a riempirla. Monteranno un megaschermo in Piazza Nettuno orientato verso via Rizzoli e via Indipendenza. Quindi lasciate ogni speranza, o voi che entrate, ma soprattutto lasciate la macchina sui viali, se proprio avete deciso di venire e non siete amanti del treno.

That’s All, Folks!

 

Piazza Grande

Un anno fa, moriva Lucio Dalla. Un anno fa, ho pubblicato questa nota. Oggi Bologna è invasa dalle canzoni di Lucio. In Piazza Maggiore sta crescendo un palco enorme. Lunedì festeggeremo il suo compleanno. Io mi sto preparando, è questa la novità.

Quando è morto De Andrè io stavo a Milano, dopo quasi dieci anni di Genova. La notizia mi è arrivata come una sprangata in testa, eppure non sono tornata a Genova per il funerale. Non lo so perchè non sono tornata. O forse adesso lo so. L’ho capito ieri, scivolando tra la gente nelle strade piene di cartelli che dicevano “Ciao Lucio”, con un groppo in gola. Allora non ne ero consapevole. Stavo cercando di schivare il colpo. Pensavo che fosse possibile schivare il colpo. Forse perchè era lontano, De Andrè, in fondo di persona non l’avevo mai incontrato. Era un musicista, era un poeta. Era là. Era altro da me. E comunque, io ero altro da tutti quelli che sarebbero andati al funerale. Questo mi raccontavo. Come se nelle mie cellule non fossero impresse le nottate passate a incollarsi le dita sui plastici ascoltando La buona novella e Né al denaro né all’amore né al cielo. Come se i miei occhi non avessero imparato Genova da lui. A ogni canzone di De Andrè mi pento di non esserci andata. E brucia ancora. Stavolta ho deciso di non schivare il colpo.

Stamattina alle nove e venti ero in Piazza Grande. C’erano già le transenne, e centinaia di persone ordinatamente in fila. Una grande foto, con su scritto “Ciao Lucio”. Un megaschermo con la sua immagine fissa. La bandiera della città a mezz’asta. E la sua voce, che cantava.

E non andar più via…

Un ragazzo alto con un mazzo di tulipani gialli. Una vecchia signora che tira su col naso. Una donna con una bambina bionda per mano. Uomini con le sciarpe del Bologna annodate sotto il mento. Donne nascoste dietro gli occhiali da sole. Un uomo con i capelli bianchi che dice a un altro: Dovevo proprio venire a salutarlo, sto ragazzo.

O muori tu o muoio io…

Parole ripetute di bocca in bocca. Sorrisi dietro agli occhiali scuri. Fazzoletti passati sulle guance. Una rosa bianca. Confezioni regalo. Giacche aperte sotto il sole.

Vorrei entrare dentro i fili di una radio

e volare sopra i tetti delle città…

Mani strofinate sugli occhi per svegliarsi. Profondi silenzi durante le canzoni. Carezze sulle teste degli amici. Una gerbera arancione in mano a una ragazza. Un lungo applauso tutte le volte che “Caruso” risuona in piazza.

Te voglio bene assaje, ma tanto, tanto bene, sai…

Le città sono anche questo. Hanno un’anima, e riconoscono la propria voce. A volte tutto quello che puoi fare è metterti in coda, essere un puntino tra trentamila. Fare parte di tutto questo, essere una cellula della città. Da solo, non potresti fare niente di più.

Domani torna l’inverno, dicono.

Sarò in Piazza Grande ad aspettarlo.