Piazza Grande

Un anno fa, moriva Lucio Dalla. Un anno fa, ho pubblicato questa nota. Oggi Bologna è invasa dalle canzoni di Lucio. In Piazza Maggiore sta crescendo un palco enorme. Lunedì festeggeremo il suo compleanno. Io mi sto preparando, è questa la novità.

Quando è morto De Andrè io stavo a Milano, dopo quasi dieci anni di Genova. La notizia mi è arrivata come una sprangata in testa, eppure non sono tornata a Genova per il funerale. Non lo so perchè non sono tornata. O forse adesso lo so. L’ho capito ieri, scivolando tra la gente nelle strade piene di cartelli che dicevano “Ciao Lucio”, con un groppo in gola. Allora non ne ero consapevole. Stavo cercando di schivare il colpo. Pensavo che fosse possibile schivare il colpo. Forse perchè era lontano, De Andrè, in fondo di persona non l’avevo mai incontrato. Era un musicista, era un poeta. Era là. Era altro da me. E comunque, io ero altro da tutti quelli che sarebbero andati al funerale. Questo mi raccontavo. Come se nelle mie cellule non fossero impresse le nottate passate a incollarsi le dita sui plastici ascoltando La buona novella e Né al denaro né all’amore né al cielo. Come se i miei occhi non avessero imparato Genova da lui. A ogni canzone di De Andrè mi pento di non esserci andata. E brucia ancora. Stavolta ho deciso di non schivare il colpo.

Stamattina alle nove e venti ero in Piazza Grande. C’erano già le transenne, e centinaia di persone ordinatamente in fila. Una grande foto, con su scritto “Ciao Lucio”. Un megaschermo con la sua immagine fissa. La bandiera della città a mezz’asta. E la sua voce, che cantava.

E non andar più via…

Un ragazzo alto con un mazzo di tulipani gialli. Una vecchia signora che tira su col naso. Una donna con una bambina bionda per mano. Uomini con le sciarpe del Bologna annodate sotto il mento. Donne nascoste dietro gli occhiali da sole. Un uomo con i capelli bianchi che dice a un altro: Dovevo proprio venire a salutarlo, sto ragazzo.

O muori tu o muoio io…

Parole ripetute di bocca in bocca. Sorrisi dietro agli occhiali scuri. Fazzoletti passati sulle guance. Una rosa bianca. Confezioni regalo. Giacche aperte sotto il sole.

Vorrei entrare dentro i fili di una radio

e volare sopra i tetti delle città…

Mani strofinate sugli occhi per svegliarsi. Profondi silenzi durante le canzoni. Carezze sulle teste degli amici. Una gerbera arancione in mano a una ragazza. Un lungo applauso tutte le volte che “Caruso” risuona in piazza.

Te voglio bene assaje, ma tanto, tanto bene, sai…

Le città sono anche questo. Hanno un’anima, e riconoscono la propria voce. A volte tutto quello che puoi fare è metterti in coda, essere un puntino tra trentamila. Fare parte di tutto questo, essere una cellula della città. Da solo, non potresti fare niente di più.

Domani torna l’inverno, dicono.

Sarò in Piazza Grande ad aspettarlo.

 

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